Un messaggio forte e chiaro quello lanciato da Maxime Mbandà. Dopo l’episodio di razzismo avvenuto al termine di Fiorentina-Napoli nei confronti del difensore Koulibaly, il rugbista ha pubblicato sui propri profili social un post che condanna fermamente l’ennesimo atto di violenza verbale basata sulla discriminazione razziale. Lo scorso anno l’ala delle Zebre fu insignito da Mattarella dell’onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica per il suo servizio volontario prestato con la Croce Gialla di Parma durante il periodo di lockdown. Da sempre molto sensibile in tema di rispetto e uguaglianza, ha espresso così la sua rabbia:
“Siamo stanchi. È diventata quasi la quotidianità. Siamo nel 2021, e, al posto che pensare a cosa indossare quando arriveremo su Marte, stiamo ancora lottando contro noi stessi. Perché? Quando sei nato non sapevi neppure cosa fosse l’odio. Se da bambino ti avessero chiesto di collegare il tuo idolo sportivo, magari di un’altra etnia, ad un’immagine, avresti sicuramente scelto quella del Supereroe. Non quella della scimmia. Quindi, per forza, crescendo deve esserti successo qualcosa. Qualcosa di brutto. […] Probabilmente, oggi, fai un lavoro in cui ti ritrovi a contatto con persone che vengono da altri Paesi, che poi sono le stesse persone che incontri sui mezzi pubblici, nei ristoranti o che forse fanno addirittura parte nella tua compagnia. E mi chiedo: passi il tempo ad insultarle? Non riesco neanche a biasimarti. Ormai la maggior parte delle notizie che trovi sui canali di informazione, prima di riportare i dettagli di un reato, si affrettano a mettere in evidenza la provenienza di chi l’ha commesso. Non dovresti, però, fare di tutta l’erba un fascio. Perché quando esci da casa ti trasformi? Potresti essere proprio tu a diventare quel “Supereroe” ed invece scegli di diventare l’acerrimo nemico“.
“È proprio vero che il gruppo rende l’uomo stupido – continua Mbandà – E non si parla solo di stadi e di impianti sportivi, ma anche di luoghi di lavoro e spazi pubblici. Ma ciò che lo rende grave è che lo stadio è pieno di bambini, e di genitori che sono lì soltanto per trasmettere loro la passione per lo sport che si portano da una vita intera. E, chissà, magari anche tu sei genitore. Pensaci meglio: non rovinare quel momento sacro, perché non se lo meritano né i giocatori, né gli spettatori. La critica fa parte dell’uomo, è nella nostra natura. Ma il troppo, “stroppia”. Perché decidi deliberatamente di ferire qualcuno? Anche perché la famiglia del giocatore che stai insultando, molto probabilmente, è allo stadio a supportarlo. Da figlio, oppure da genitore, da zio, da nipote, da amico: cosa sentiresti dentro se quella persona presa di mira fosse tuo padre, tua madre od uno dei tuoi figli? Ci sono le telecamere, le riprese. Non vorrai mica che la gente sappia che sei un razzista! Cerca di divertirti e goderti la partita e l’atmosfera. E sappi che nessuno qui sta cercando di cambiare le tue idee anche se, effettivamente, dovresti guardarti dentro per cercare di capire da dove arriva tutta questa rabbia per il diverso. Che alla fine ammala solo te […]”.
Infine, il rugbista della nazionale italiana chiosa con queste parole: “Non voglio ridurmi a dover insegnare a mio figlio fin da piccolo, come ha fatto mio padre con me, che quando crescerà ci sarà qualcuno che lo offenderà per il colore della sua pelle o per qualsiasi altra espressione del suo essere. Non voglio dovergli insegnare a farsi scivolare addosso le cattiverie. Quindi, se vuoi proprio sfogarti perché ti rende felice, fallo a casa tua o in un luogo deserto. Poi, se invece vuoi fare qualcosa di utile, allora potresti iniziare opere di volontariato, o anche soltanto impegnarti a scrivere, leggere, suonare, pitturare, fare sport. Ci sono un sacco di cose da fare che asciugherebbero il veleno che ti porti dentro. L’odio non porta altro che odio. Io mi sono fatto la promessa di cercare di lasciare il mondo meglio di come l’ho trovato. Non sempre ci riesco, ma ogni giorno ci provo. E tu? Te lo sei dato uno scopo nella vita?”.