L’alba del giorno dopo. Prendendo in prestito il titolo del noto film, è sempre difficile analizzare sensazioni, stati d’animo, emozioni e tutto quello che fa da contorno ad una finale. Un processo ancor più ostico se si tratta della gara più importante per i club europei. Tralasciando quanto avvenuto al di fuori dello stadio, che merita un discorso a parte e che ha messo in difficoltà anche i vertici UEFA, il “Parco dei Principi” ha regalato un’atmosfera magica per la sfida tra Real Madrid e Liverpool. Senza ombra di dubbio il giusto scontro per questa edizione della Champions League. Con buona pace delle altre favorite PSG e Manchester City, che hanno palesato le storiche difficoltà nel fare il salto di qualità, i reds e i blancos hanno costruito un percorso coerente in cui le qualità si sono unite anche a quel pizzico di fortuna necessario per trionfare a questi livelli.
Partendo dagli sconfitti, un certo tipo di stampa potrebbe benissimo bollare la stagione degli inglesi come un flop. Un campionato perso all’ultima gara e una finale giocata non ad altissimo livello, renderebbero Klopp un allenatore incapace di fare l’ultimo gradino. Queste visioni così superficiali non rendono giustizia ad una stagione lunghissima per Salah e compagni capaci di arrivare in fondo ad ogni competizione disputata. La Premier League, poi, è un discorso che c’entra poco con la Champions League. Ieri sera si sono palesati i problemi già noti: il Liverpool si è presentato in campo con un centrocampo fragile in cui sia Fabinho che Thiago Alcantara avevano stretto i denti visti ii problemi fisici. La gara, poi, si è sviluppata secondo il classico copione tattico: inglesi arrembanti, contro un Real Madrid in pieno stile “italiano” con difesa e ripartenze. Una filosofia opposta al credo degli spagnoli ma che è stata la chiave vincente di questa stagione. Nel Liverpool è mancato il tocco finale ma anche quel leader che potesse trascinare la squadra. Salah e Manè, probabilmente all’ultima gara da compagni di squadra, hanno disputato una gara anonima e troppo discontinua. Pesantissime poi le responsabilità della difesa sia nell’occasione del goal annullato di Benzema che in quello di Vinicius. Una sconfitta che, alla luce di tutto questo, è meritata. Certo si potrà discutere sui miracoli di Courtois, ma gli interventi dell’estremo difensore fanno parte del bagaglio tecnico di uno dei migliori portieri al mondo.
Da qui ci colleghiamo alla gara del Real Madrid. Al triplice fischio una gioia moderata e festeggiamenti nemmeno così esagerati. Una testimonianza di quanto questa società sia la storia della competizione, la prova che questo trofeo i madrileni ce l’hanno nel sangue. Sarebbe lunghissimo l’elenco dei numeri di alcuni giocatori: dai trionfi di Marcelo, divenuto uomo spogliatoio, alla conclusione della stagione di Karim Benzema, che merita a mani basse il pallone d’oro, sino a Carletto Ancelotti, l’uomo bollato come finito fino a qualche tempo fa. Dopo l’addio di Napoli e la parentesi all’Everton, Re Carlo si è rialzato ed ha portato il Real Madrid di nuovo sul tetto d’Europa e di Spagna per una fantastica doppietta. Sono quattro adesso le Champions League conquistate: due con il Milan e due con i blancos, tra cui la decima. La gara, come detto, ha seguito il canovaccio classico del Real Madrid di questa stagione: linee strette, baricentro basso e contropiede grazie a uomini chiave come Vinicius e Benzema. Proprio questa nuova filosofia tattica e di gioco ha portato al trionfo: sulla carta non è certamente il Real Madrid più forte degli ultimi anni. E’ una squadra che ha basato tutto sulla forza “operaia”, sullo spirito di sacrificio, su una difesa grintosa per nascondere le difficoltà tecnica. Il tutto tenendo praticamente sempre fuori gente come Isco, Bale, Hazard, Asensio, Jovic e Marcelo. Sei giocatori che farebbero i titolari nei top club di mezza Europa. Se queste sono le basi, il Real Madrid può costruire un percorso vincente ancora per molti anni.