In caso di atleti o dirigenti positivi al coronavirus scatterà una quarantena di due settimane. E’ il diktat di John Di Fiori, direttore medicina sportiva dell’Nba. Il massimo torneo americano di basket dovrà seguire questo protocollo in vista della ripresa degli incontri in programma a partire dal prossimo 31 luglio.
Al momento i 22 team partecipanti al torneo sono in ritiro nell’area protetta di Orlando, all’interno di Disney World. Diverse squadre hanno iniziato gli allenamenti già da giorni, ma l’attenzione ad eventuali contagi resta altissima con giocatori, staff tecnico e dirigenti chiamati a rispettare un rigido protocollo.
A preoccupare maggiormente il medico Di Fiori è il quadro clinico di un giocatore eventualmente contagiato dall’infezione. Eventualità che lo metterebbe come fuori automaticamente dal campionato, visti i tempi di recupero uniti al periodo di isolamento. “Ci sono – precisa il responsabile sanitario a Espn – degli effetti sconosciuti per quel che riguarda la capacità polmonare, così come quelli sulla tenuta cardiaca del cuore. Cosa fare se un giocatore di 24 anni ad esempio ha perfettamente recuperato dalla malattia in 14 giorni, ma ha avuto in passato problemi di circolazione sanguigna? Dovremmo rimandarlo in campo senza conoscere le possibili conseguenze? L’unico concetto che bisogna far passare è che, qualora un giocatore risultati contagiato al Covid-19, è improbabile che torni sul parquet per due settimane. Come minimo, ma potrebbe durare anche di più”.